Gli Hate Inc. muovono i primi passi nel 2002 come one-man band ruotante intorno alla figura del cantante e polistrumentista Vincent Vega; è solo nel 2007 che diventano un gruppo a tutti gli effetti, completando il quintetto che costituisce l’attuale formazione.

Aspettando il completamento del venturo disco di esordio, che dovrebbe intitolarsi ‘Art of suffering’, la band decide di iniziare a far girare il proprio nome dando alla luce ‘Fragments’, una demo di quattro pezzi che riesce nell’intento di offrire un quadro completo, obiettivo ed esaustivo della direzione intrapresa.

Come prima cosa bisogna dire che la proposta degli Hate Inc. richiede, per poter essere apprezzata, un minimo di apertura mentale: se siete tra i più stretti puristi del metallo, ed avete degli orizzonti abbastanza limitati, sicuramente questo gruppo non fa per voi.

Infatti alla base della musica ivi contenuta vi è un massiccio uso di sintetizzatori, di suoni moderni e campionati, di componenti elettroniche (non a caso tra le principali influenze fanno capolino i nomi di Ministry e Nine Inch Nails), evidente fin dai primissimi istanti della opener- nonché title track- ‘Fragments’. Per i pochi che conoscono il termine di paragone, l’incipit di questa demo pare venire direttamente da quell’esperimento sonoro degli Ulver che porta il nome di Perdition City; ma questo nome può essere fuorviante, e non dovete immaginarvi un disco puramente sperimentale: fermo restando che gli elementi elettronici rimangono una caratteristica portante, appare subito chiaro che gli Hate Inc. poggiano le proprie basi su una linea complessivamente metal, in cui l’importanza delle chitarre (e in generale degli strumenti, per così dire, “classici”) non è affatto scavalcata dalle innovazioni.

‘Fragments’ si rivela subito un gran bel pezzo: il ritmo trascina, le strofe ed il chorus sono cadenzati al punto giusto e coinvolgono; e in mezzo a tutto questo c’è spazio per dire qualcosina di nuovo.

I due brani centrali danno l’impressione di intraprendere una linea più aggressiva: la voce si fa più grezza ed assume un ruolo dominante all’interno delle strofe, ed i sintetizzatori si “retrocedono” in secondo piano al fine di concedere maggiore importanza ai riff.

La conclusiva ‘Art of suffering’ riprende, almeno inizialmente, il gusto per la melodia, all’interno di una linea calma e rilassata (che verrà ripresa nella parte centrale), preludio di un graduale ma costante crescendo. Anche questo un ottimo pezzo, ideale per far venire voglia di far ripartire l’ascolto dall’inizio.

Tutti e quattro i brani risultano più che riusciti, compatti, coinvolgenti al punto giusto, facili da memorizzare e, perché no, da canticchiare. Insomma, ‘Fragments’ si rivela adatto sia per un ascolto leggero e poco attento che per chi cerca un prodotto valido da tutti i punti di vista: straconsigliato a chiunque si ritenga in grado di poter apprezzare il genere.

Complimenti, ragazzi.

Francesco Salvatori.

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